
Cosa succederebbe se, all’improvviso, in un giorno qualunque, in una città qualunque, di uno Stato qualunque, tutti gli abitanti diventassero ciechi?
E non di una cecità diagnosticabile e/o curabile, ma di una cecità sconosciuta che, come tutte le cose che non si conoscono, fa ancora più paura.
Per scoprirlo, basterà leggere José Saramago, ma attenzione. In un libro che parla di cecità, l’attenzione è tutta negli occhi. Nello sguardo.
E lo sguardo di Saramago, è logico, cinico, ironico, estremamente lucido. È lo sguardo di chi vede l’ordine più disarmante nel caos più aberrante.
Di chi pur nella più cruda miseria ha le parole più giuste per raccontarla. E farcela sentire, quella miseria.
Parole a volte difficili da catturare nella loro pienezza perché non inquadrabili in un ordine prestabilito. La sintassi di Saramago è a volte inafferrabile, sfuggente, con quella sua quasi totale assenza di interpunzione e di pause, che anziché rendere il discorso più scorrevole lo rallenta e appesantisce.
Cecità è un libro apocalittico, che offre ampio spazio alla riflessione, riflessione che è lo stesso Saramago a gestire e orchestrare, con la sua presenza fissa e il suo sguardo indagatore. Con la sua lucidità ma al tempo stesso manzoniana partecipazione alle vicende dei suoi personaggi, stereotipi a cui non dona un nome ma di cui bonariamente segue le disgrazie, le sofferenze, i drammi.
La paura acceca, disse la ragazza dagli occhiali scuri, Parole giuste, eravamo già ciechi nel momento in cui lo siamo diventati, la paura ci ha accecato, la paura ci manterrà ciechi[1]
Saramago conosce come nessun altro le loro miserie, le loro paure, i loro pensieri più reconditi, lo spirito che anima le loro azioni, ma anche quelle dell’intera umanità di cui sono specchio, dell’umano reso animale dalla sofferenza e dal disordine
I buoni e i cattivi risultati delle nostre parole e delle nostre azioni si vanno distribuendo, presumibilmente in modo alquanto uniforme ed equilibrato, in tutti i giorni del futuro, compresi quelli, infiniti, in cui non saremo più qui per poterlo confermare, per congratularci o chiedere perdono.[2]
E cosi, leggendo, si viene trasportati in un labirinto buio di intenti, di anime, di pensieri, dolore, caos ai limiti del pensabile. Ci sarebbe molto da dire, su Cecità.
Ma se è vero – come scrive Saramago – che “ci sono parole che valgono più del loro apparente significato”, è anche vero che ci sono sguardi che valgono più di ciò che vedono. O non vedono.
Dipende dai casi.
Distopico, brutale, intenso. Scruta l’anima
e non la lascia più andare.
[1] J.SARAMAGO, Cecità, Einaudi, Torino, 2008, p. 126
[2] Ivi, p. 77.