Straripa di umanità, la Trilogia della pianura di Kent Haruf. Un’umanità forte, semplice, concreta.
Come quella dei fratelli McPheron, Harold e Raymond, che tra una titubanza e l’altra, tra una tenera incertezza e l’altra, decidono di prendere in casa la giovane Victoria, senza sapere, che nella loro inconsapevolezza, nella loro tradizionale solitudine, le avrebbero donato un amore vero.
È forse un regalo di delicatezza, un dono quello che Haruf fa ai suoi lettori con questa umanissima trilogia, un intenso omaggio a Holt, la cittadina del Colorado a cui Haruf ha dato voce per tutta la sua vita di scrittore, tanto da diventare, nella costellazione di personaggi e di vite dei tre libri, essa stessa personaggio.
Personaggio e talvolta paesaggio emotivo, in grado cioè, di descrivere e accompagnare lo stato d’animo dei personaggi e quasi presagire ciò che accadrà
I due ragazzini, accanto al bruciatore, guardavano la scena. Battevano i piedi e sbattevano le braccia nei giubbotti invernali per scaldarsi, mentre osservavano gli sforzi del padre e dei vecchi fratelli McPheron. Sopra di loro, il cielo era terso come porcellana appena lavata e il sole splendeva brillante. Ma il pomeriggio si stava facendo sempre più freddo. A ovest si stava preparando qualcosa. In lontananza, oltre le montagne, le nuvole si stavano ammassando.[1]
Si legga, in Il canto della pianura, la descrizione dell’uscita dall’ospedale di Victoria Rubineaux, in cui la ragazza, sola, attraversa le strade calde di una Holt che non dà risposte
Più tardi, quando ebbe recuperato la calma,dopo che il dottore se n’era andato, e la luce in strada le parve tagliente e aspra, impietosa, come se anziché un pomeriggio di fine autunno, un’ora prima del crepuscolo, fosse mezzogiorno in punto in piena estate, e lei se ne stesse immobile alla luce abbagliante del sole.[2]
O si legga altresì, in Crepuscolo, il ritorno a casa di Raymond McPheron dopo aver trascorso la serata con Rose Tyler in una Holt estiva intrisa di speranze e rinascita
Nella sua vita c’erano Victoria e Katie e adesso c’era anche ciò che stava nascendo con quella donna generosa, Rose Tyler. Stava viaggiando con i finestrini abbassati e l’aria notturna portava con sé l’odore dell’erba verde e della salvia.[3]
Non a caso poi, i tre libri si concludono proprio con il paesaggio, proprio con Holt, come in un ritorno al principio, all’inizio di tutto. Si confrontino i tre finali
Le due donne lasciarono che la brezza soffiasse fresca sui loro volti e sbottonarono un po’ le camicette per sentirla sul petto e nelle ascelle. E presto, molto presto avrebbero chiamano gli altri per la cena. Ma non subito. Rimasero in veranda ancora un po’ nell’aria di quella sera di fine maggio, diciassette miglia a sud di Holt.[4]
E ancora più in là, fuori città, sugli altipiani, le luci blu dei lampioni nei cortili avrebbero brillato dagli alti pali sulle fattorie e sugli allevamenti isolati nella campagna aperta e brulla, si sarebbe alzato il vento,avrebbe soffiato negli spazi aperti senza trovare ostacoli sui vasti campi di grano invernale, sugli antichi pascoli e sulle strade sterrate, portando con sé una polvere pallida mentre il buio si avvicinava a scendeva la notte.[5]
In autunno le giornate si fecero fredde, mentre gli alberi perdevano le foglie, e in inverno arrivò il vento delle montagne, e sugli altopiani della contea di Holt di furono tempeste notturne e tormente di neve lunghe tre giorni.[6]
Ma andiamo con ordine. Ci sono almeno due modi per leggere la Trilogia della pianura. La si può leggere secondo l’ordine di pubblicazione dei tre volumi in Italia (NN Editore ha pubblicato per primo Benedizione e a seguire Il canto della pianura e Crepuscolo), oppure, e questa è la proposta di lettura qui scelta, si può seguire l’ordine di scrittura dell’autore e quindi leggere in ordine Il canto della pianura, Crepuscolo e Benedizione. Oppure, vogliamo proporre qui un’altra possibile lettura, che ci piace chiamare “lettura musicale” ed è quella che propone NN Editore nella sezione “songbook” del sito web della casa editrice (http://www.nneditore.it/songbook/), una scelta di musiche e brani che accompagnano alcune scene dei tre volumi. Scene per l’appunto, perché la scrittura di Haruf, nella sua semplicità, nettezza, ma al tempo stesso solidità e intensità, nel raccontare i piccoli drammi umani degli abitanti di Holt è come se delineasse la trama di un film, o meglio, di una serie televisiva in cui tutte le storie dei vari personaggi si esplicano e si incontrano / incrociano tra loro. Come ogni serie che si rispetti poi, non manca il lieto fine, che scende su tutti come un’inaspettata e silenziosa salvezza. È poi vero che non tutte le serie hanno un lieto fine, ma questo non accade a Holt, abitata da un’umanità buona, un’umanità che pure nella sofferenza, nella miseria, nel dolore della vita quotidiana, è ancora capace di bontà e dolcezza, di ascolto e compassione.
Nel momento del bisogno nessuno è solo a Holt.
Si veda in Benedizione, la descrizione delle ultime ore di vita di Dad Lewis, si legga il raccoglimento, la silenziosa comprensione e partecipazione, persino alla morte, dei singoli personaggi, radunati intorno al suo letto, perché parlargli “Potrebbe essere un conforto”
Entrarono in camera e sedettero accanto a letto e Mary e Lorraine e Berta May e Lyle giunsero le mani, guardando Dad. Era girato verso la porta. Chinarono il capo. Che la pace sia con noi e con Dad Lewis, disse piano Lyle. Che la pace e l’armonia regnino in questa stanza. E che regnino nel mondo difficile e pieno di conflitti che c’è fuori da questa casa. […] Poi si misero a parlare a bassa voce, guardando Dad e osservando fuori dalla finestra la pianura dietro la casa in quella calda giornata estiva.[7]
Come accade poi in tutte le serie, i personaggi si evolvono, alcuni muoiono, altri escono di scena e altri si aggiungono. È ciò che accade anche nella Trilogia della pianura e il lettore che la leggerà seguendo l’ordine di scrittura, noterà forse più facilmente questo tipo di evoluzione.
In particolar modo in Canto della pianura e Crepuscolo, più legati tra loro relativamente a personaggi e storie, Benedizione appare invece più slegato rispetto agli altri libri, per quanto unito agli altri due attraverso il ricordo di ciò che è stato, di chi c’è stato.
Per una disamina di personaggi e storie si lascerà spazio alla curiosità del lettore che vorrà fare un viaggio a Holt, alla scoperta di questa umanità buona e di un luogo dove tutto non può che andare bene
e questo era quanto di meglio si potesse sperare, a Holt e in qualunque altro posto del mondo, insomma, era tutto perfetto.[8]
La straordinaria e disarmante semplicità con cui il tutto è raccontato ha fatto parlare di “non letteratura” per le opere di Haruf, ma cosa si può dire oggi, letteratura e non?
Haruf posa il suo sguardo sul mondo con delicatezza, partecipa empaticamente alla vicende dei suoi personaggi, ne comprende e sonda le fragilità, le paure, i sentimenti più nascosti e più veri, i piccoli drammi. E lo fa alla maniera di un buon amico, di un confessore che non giudica ma comprende. Traccia la topografia letteraria di Holt e dà al lettore le coordinate emotive per leggere la sua opera, una sorta di Benvenuto a Holt scritto a tratti leggeri.
[1] K.HARUF, Il canto della pianura, NN Editore, Milano, edizione ebook, p.89.
[2] Ivi, p. 113.
[3] K.HARUF, Crepuscolo, NN Editore, Milano, edizione ebook, p. 228.
[4] K.HARUF, Il canto della pianura, cit., p. 439.
[5] K.HARUF, Crepuscolo, NN Editore, Milano, edizione ebook, p.262.
[6] K.HARUF, Benedizione, NN Editore, Milano, edizione ebook, p. 414.
[7] K.HARUF, Benedizione, cit. p. 380.
[8] K.HARUF, Canto della pianura, cit., p.424.