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La vita è sempre una scelta: scrittura e salvezza in Norwegian wood di Murakami Haruki

norwegian woodok
Photo by http://www.lapazienzadellonda.wordpress.com

Per ricordare il passato bisogna scriverlo. Bisogna scriverla la vita per non dimenticarsela. Perché la vita è sempre una scelta, come insegna il Murakami di Norwegian wood.

Una scrittura magnetica, elegante ed evanescente quella di Murakami, che racconta con estrema delicatezza e sembra lasciare sempre qualcosa in sospeso, come avvolto nel mistero, pur nella precisione dei ricordi, dei dettagli, delle emozioni che con grande maestria riesce a trasferire sulla pagina.

Con Norwegian wood lo scrittore giapponese realizza il suo romanzo di formazione, alla sua maniera, ovvero mantenendo sempre quelle che a una prima lettura emergono subito come le caratteristiche principali della sua scrittura, l’opposizione tra i due mondi della realtà e del sogno e lo spaesamento che ne consegue a vivere in entrambi. Perché se la morte fa parte della vita è vero anche che il sogno fa parte della realtà. Non si discosta tuttavia dal romanzo di formazione tradizionale, di cui ne mantiene l’ingrediente principale: un giovane protagonista in guerra col mondo pensa che la sua vita sia noiosa e poco interessante ma non si accorge che quella stessa vita in cui non accade nulla è piena di novità ed esperienze favolose. La vita lo inizia all’amore, il dolore, la sofferenza ed è solo superando quest’ultima che può “crescere” e diventare adulto. Non mancano poi gli accompagnamenti musicali a scandire i momenti di questa crescita; Norwegian wood nasce senza dubbio sotto il segno dei Beatles. Come ha affermato l’autore, sotto il segno di Sergeant Pepper’s Lonely Hearts Club Band, ma non mancano riferimenti a gran parte della discografia della band inglese (Rubber soul, Abbey road, A hard day’s night, Magical mistey tour, Let it be) come anche alla famosa Scarborough fair di Simon & Garfunkel, a Billy Joel, ai Drifters, a Dear heart di Henri Mancini, Bacharach, Bob Dylan, Ray Charles, Stevie Wonder e molti altri

La radio trasmetteva adesso White room dei Cream, Ci fu un’interruzione pubblicitaria, quindi andò in onda Scarborough fair di Simon & Garfunkel.[1]

Quindi suonò Here comes the sun, questa volta accompagnandosi cantando.[2]

Andai a sedermi sulla veranda e provai piano piano a suonare Up on the Roof, una canzone dei Drifters che avevo imparato a quei tempi.[3]

Poi Reiko passò ai Beatles, suonando, una dietro l’altra, Norwegian wood, Yesterday, Michelle, Something, Here comes the sun (che cantò anche) e The fool on the hill.[4]

ma è anche omaggio a tanta letteratura occidentale, numerosi sono i riferimenti a David Copperfield di Dickens, Il grande Gatsby di Fitzgerald, Truman Capote, Hermann Hesse.

Norwegian wood è un romanzo dal quale non ci si separa facilmente. Anche a lettura ultimata si porta dietro il segno di qualcosa che rimane e si radica dentro. Te lo ricordi Norwegian wood, come ci si ricorda chi muore. E non a caso il libro è dedicato “a tutti quelli che sono morti” e a “quelli che restano”. Perché dobbiamo ricordacelo chi muore, è questa l’altra grande lezione di Norwegian wood

Il fatto di non essermi ricordato subito di lui mi ha dato la sensazione di avergli fatto un torto. Mi sono sentito come se l’avessi abbandonato. Però quando quella notte sono tornato nella mia stanza ho pensato: sono già passati due anni e mezzo da allora, e lui ha ancora diciassette anni. Ma questo non significa che il suo ricordo dentro di me sia sbiadito. Tutte le cose che la sua morte ha portato con sé rimangono vivide, alcune addirittura più che allora. Quello che cerco di dire è che tra poco io avrò vent’anni, e che una parte delle cose che ho diviso con Kizuki quando avevamo sedici, diciassette anni, sono già finite, e che per quanto uno possa piangere e disperarsi non torneranno più.[5]

Scrivendo mi sembrava di riuscire a tenere insieme la mia vita che altrimenti sarebbe crollata spargendo i pezzi da tutte le parti.[6]

Scrivere, scrivere, scrivere, per non dimenticare, per non perdere i dettagli, i ricordi, le immagini di chi non c’è più, per non dimenticare la morte, per non perdere la vita

Anche adesso che sono passati diciott’anni, riesco ancora a ricordare chiaramente quel prato e il paesaggio intorno.[…] Strana cosa la memoria. Nel momento in cui mi trovavo realmente lì, non mi rendevo nemmeno conto del paesaggio. Non mi sembrava che avesse niente di particolare, e non immaginavo neanche lontanamente che diciott’anni dopo avrei potuto ricordarmelo fin nei minimi dettagli. A dire la verità, in quel periodo non avrebbe potuto importarmene meno del paesaggio. Pensavo solo a me stesso, alla ragazza così bella che camminava al mio fianco, alla nostra storia, e poi ancora a me. Era un’età in cui qualunque cosa io potessi vedere, sentire, pensare, mi tornava sempre nelle mani come un boomerang. [7]

Ma in questo paesaggio non ci sono figure umane. Non c’è nessuno. Naoko non appare, io nemmeno. E mi chiedo dove siamo andati a finire noi due. Come è potuto succedere? Dove è andato a finire tutto quello che ci sembrava così prezioso, dov’è lei e dov’è la persona che ero allora, il mio mondo? Ma è inutile, ormai non riesco nemmeno a ricordare facilmente il viso di Naoko. […] Mentre prima per ricordarla mi bastavano cinque secondi, i cinque secondi sono diventati dieci, poi trenta, poi un minuto. Il tempo si è allungato pian piano, come le ombre al tramonto. E mi chiedo se di questo passo alla fine il suo viso non sarà inghiottito dall’oscurità. Non c’è dubbio che la mia memoria si stia allontanando da Naoko. Proprio come io mi sto allontanando dal ragazzo che ero allora.[8]

Coloro che perdiamo ci lasciano addosso il vuoto della mancanza, dolorosa e a volte disarmante, del ricordo che fa male, della sofferenza che annienta. Ma il messaggio di Murakami è chiaro e limpido: la morte sa insegnarci sempre qualcosa

Nel momento stesso in cui viviamo, cresciamo in noi la morte. Ma questa era solo una parte della verità che dobbiamo imparare. Era stata la morte di Naoko a insegnarmelo. Per quanto uno possa raggiungere la verità, niente può lenire la sofferenza di perdere una persona amata. Non c’è verità, sincerità, forza, dolcezza che ci possa guarire da una sofferenza del genere. L’unica cosa che possiamo fare è superare la sofferenza attraverso la sofferenza, possibilmente cercando di trarne qualche insegnamento non ci sarà di nessun aiuto la prossima volta che la sofferenza ci colpirà all’improvviso.[9]

Non c’è una ricetta per superare una perdita, un modo preciso per affrondare il dolore e vivere felici. La lezione di Murakami arriva precisa e dolce, ed è in questa rassicurante dolcezza il suo insegnamento: scegliere la vita e continuare a vivere per chi non ce l’ha fatta. Perché la vita è sempre una scelta, una scelta in cui bisogna concedersi l’opportunità di essere felici

Ehi, Kizuki, pensai, io a differenza di te ho deciso di vivere, e anche di cercare di vivere bene. Immagino quanto deve essere stata dura per te, ma lo è anche per me, credimi sulla parola. E lo è perché tu sei morto lasciando Naoko in quel modo. Ma io non la abbandonerò così. Perché le voglio bene e perché sono più forte di lei. Ma diventerò ancora più forte di come sono adesso, e più maturo. Diventerò adulto. Devo farlo.[10]

[…] se vedi una possibilità di felicità per te, cogli quell’occasione e sii felice. Opportunità come queste non capitano che due o tre volte nella vita, e se uno se le lascia sfuggire poi lo rimpiange in eterno. [11]

Guardai Reiko negli occhi. Stava piangendo. Impulsivamente, la baciai sulla bocca. Le persone che passavano ci guardarono con aria strana, ma io non me ne accorgevo neanche. Eravamo vivi, e l’unica cosa a cui dovevamo pensare era continuare a vivere.[12]

Kizuki, Naoko, Hatsumi e tutti quelli che non ce l’hanno fatta, Torū, Reiko, Midori e tutti quelli che ce la vogliono fare, che vogliono prenderla a morsi la vita, che vogliono ancora sperare, crescere, amare e diventare adulti superando quella sofferenza che fa male ma fa diventare grandi, sono loro l’umanità di Norwegian wood, un’umanità che si divide essenzialmente in chi vive nel vuoto, nel buio, nella notte e chi vive nella pienezza, nella luce, nel giorno, con qualche incursione (che mai in Murakami manca) nel sogno. La dimensione onirica è sempre molto scandagliata nello scrittore giapponese e non è un caso che Watanabe, la voce narrante di Norwegian wood, viva in entrambe le dimensioni. Così come dimensioni diverse sono in fondo l’esistenza nella casa di cura in montagna, (il mondo senza tempo, disperso, evanescente, ma pur per lui sereno di Naoko) e la realtà della vita universitaria con i suoi movimenti, i suoi fermenti, la vita che freme e scorre senza sosta (il mondo dal tempo veloce, concreto, forte, vitale di Midori). Per cui si può dire che il tempo scorra all’interno del libro in maniera differente (secondo le direzioni delle due figure femminili diametralmente opposte che orbitano attorno al protagonista maschile), orizzontale il tempo di Naoko, verticale quello di Midori. Al centro Watanabe, che i tempi li vive entrambi. E i mondi pure, per quanto, data la sua natura di outsider (e in questo Murakami mantiene una delle caratteristiche principali del romanzo di formazione), si trovi ad essere con più facilità inglobato nel primo e trovi invece più difficoltà a muoversi nel secondo.

Con la sua ormai inconfondibile colonna sonora (le prime note dell’omonimo successo dei Beatles, da cui il libro di Murakami prende il titolo, fanno subito pensare al libro) Norwegian wood è considerato il grande successo dello scrittore giapponese. In molti lo considerano il suo romanzo più intimista ma anche quello in cui fa i conti con realtà e realismo. In molti lascia un senso di vuoto e di tristezza misto a nostalgia. A mio parere invece, il suo messaggio è forte, difficile e positivo (perché la positività a volte è la scelta più difficile). La bellezza della scrittura di Murakami sta nella delicatezza e nella leggerezza simbolica con cui tutto viene raccontato, nelle sensazioni e nei segni di cui lo scrittore carica fortemente anche i paesaggi, in quella saggezza ed equilibrio che sono cifra della cultura orientale. Sta nel dolore che fortifica, nelle contraddizioni che fanno crescere, nell’affrontare il ricordo di chi non c’è più, nei dettagli che fanno male, nella scelta della vita ad ogni costo.

[1] Murakami, Norwegian wood, Torino, Einaudi, 2016, p. 182.

[2] Ivi

[3] Ivi, p. 315.

[4] Ivi, p. 368.

[5] Ivi, pp. 281-282.

[6] Ivi, p. 332.

[7] Ivi, pp. 4-5.

[8] Ivi, pp. 5-6.

[9] Ivi, p. 349.

[10] Ivi, p. 320.

[11] Ivi, p. 345.

[12] Ivi, p. 373.

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4 pensieri riguardo “La vita è sempre una scelta: scrittura e salvezza in Norwegian wood di Murakami Haruki

  1. Davvero una recensione interessante, mi trovo concorde con praticamente tutto. Soprattutto sul finale, davvero tipico del Bildungsroman occidentale e che è assolutamente positivo nel rimarcare il valoe della sofferenza come cicatrice. Certo, rimane la nostalgia e la malinconia, na è solo il più classico dei dolceamari.

    Tra l’altro prima edizione pubblicata da Einaudi, quella che recava ancora come sottotitolo il vecchio “Tokyo Blues”, c’è una bella introduzione di Amitrano, il traduttore, dove c’è un interessante parallelo proprio con David Copperfield. Lì trova ancora più forza la bella intuizione di questa recensione del Naoko-Sogno/Midori-Realtà. Amitrano lo declina in modo più “filosofico” come apollineo e dionisiaco, ma sono più concorde con il parere qui espresso vedendola come nient’altro che lo svolgimento del classico tema murakamiano all’interno di un modello letterario che non fa più il verso al realismo magico ma quanto al puro romanzo di formazione.

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